Il ciclo delle 59 Anime-Desaparecidos, detto "Il Fantasma della Storia", nell'installazione al Parkview Museum di Singapore nella mostra "Disturbing Narratives" curata da Lorand Hegyi (2019/20)
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QUATTRO SOGLIE PER LA FINE DEL MONDO, di Andrea Fogli
(follows english translation)
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Allora la frontiera, la fine del mondo.
Se parliamo del mondo conosciuto e abitato – ma anche da noi soprattutto mal costruito o vissuto – quella frontiera e quel mondo hanno a che fare con l’identità, ovvero quel qualcosa che è fittizio, convenzionale, incapace di dire la natura di ogni essere vivente che racchiude in sé, in quell’arco di tempo chiamato dai greci Bios, anche il non essere più e il non essere ancora nato, una tensione e un’apertura che eccede i limiti convenzionali del mondo diurno, del mondo edificato e organizzato dall’uomo.
Oltrepassare la frontiera, la fine del mondo, andrebbe così inteso in prima istanza come il superamento del limite di un mondo che si misura in altezza e larghezza, un mondo divenuto misurabile, ma che al contempo ti misura e controlla: il mondo delle identità. Oltre tutto ciò, oltre lo stesso orizzonte o arco della Bios, si apre un’altra dimensione, quella che gli antichi orientali (e in particolare i cinesi) indicavano come “dentro”, una prospettiva quindi ben diversa dalle prove di forza ed estensione in voga da tre millenni in Occidente.
Il problema delle frontiere geografiche e politiche passa a questo punto in secondo piano, dal momento che dipende da qualcosa che è a monte, ovvero “dentro” l’essere umano che le ha tracciate o le vuole (o deve) attraversare. Lì le frontiere si chiamano soglie o stanze.
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La prima soglia, la prima “fine del mondo”, è per ognuno la propria singolarità, l’essere separati, l’essere condannati al canocchiale degli occhi (e della coscienza) che dai primi anni alla morte sono l’unico pozzo da cui vediamo ciò che ci circonda, ovvero quello che per convenzione generale è detto “mondo”. La prima frontiera che va superata è quella che ci imprigiona nel concetto della singolarità. In questo recinto la primaria e permanente “fine del mondo” è per ognuno la propria morte. E’ questa fine che in primis deve essere affrontata, ma la maggior parte di noi terrestri non vuole mettere il piede su questa soglia: dall’angusto canocchiale della singolarità “sono sempre gli altri a morire”, anche se sappiamo che così non è (non soltanto per chi muore incosciente nel sonno o in un millesimo di secondo). Se poi il limitato monocolo viene deformato dall’egocentrismo si arriva all’indifferenza cinica di quelli a cui (anche inconsciamente) non importa nulla di ciò che sarà il mondo dopo la propria morte o di chi addirittura preferirebbe che la terra scomparisse con lui.
Se osserviamo le “masse”, o i singoli divenuti “individui”, o i “re del mondo” (economico, politico e mediatico), capiamo che sono proprio le illusioni e deformazioni egoiche appena indicate ad essere in atto. A fare e disfare la Storia. A distruggere il pianeta.
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La seconda soglia, la seconda necessaria “fine del mondo”, riguarda il mondo, la sua Storia e il suo Spettacolo. Il loro intreccio. Solo se si oltrepassa questa soglia si possono vedere le moltitudini di “dormienti” tenuti in bambola dai “regnanti” e vedere anche i desaparecidos d’ogni tempo e latitudine, dimenticati o perseguitati perché al contrario di tutti loro “vedenti”. Il XX secolo, il secolo delle dittature plateali, non ha risparmiato come sappiamo l’Italia e il Sud America, ma il nostro XXI secolo, pur permanendo guerre e eccidi, e altri desaparecidos, ha escogitato la servitù invisibile, occultandola nel mondo radioso delle connessioni virtuali.
Chi sono nel XXI secolo i nuovi desaparecidos oltre la vittime dei conflitti in corso? Dove si sono nascosti? Dove li hanno nascosti? Come è cambiato l’asservimento e l’oppressione? Se non si supera la seconda soglia, dopo di cui il “re è nudo”, non si potrà mai capire.
Abbiamo visto nei due anni in cui ha girato per il mondo l’allucinogeno Covid masse di persone eseguire diligentemente degli ordini, e dei cambiamenti radicali di vita, accerchiate da informazioni unidirezionali, tassative, globali, e sottomesse con il ricatto della paura – strumento usato dalla notte dei tempi da chi vuol dominare, non solo sui corpi ma anche sulle anime. Stiamo vedendo in queste settimane come siano scomparsi i Palestinesi dall’attenzione occidentale e dai loro organi d’informazione: un’altra rimozione global occidentale a senso unico. Se restiamo imprigionati nei talk show e in quel che dicono governanti occidentali e la maggioranza dei politici e organi di stampa, restiamo immersi in una finzione permanente.
Se le masse dei dormienti, attraverso i social, cercano giocondamente e disperatamente di “apparire”, dopo aver accettato di essere consumatori invece che cittadini, i nuovi desaparecidos sono i “vedenti” che vedono con occhi e pensieri liberi, e quindi coraggiosi. Non hanno paura di “scomparire” perché non sono imprigionati nella difesa ad oltranza della propria esistenza biologica ma sanno, con Seneca e altri antichi maestri, che ci sono valori irriducibili che la morte – e ogni forma di oppressione – non può cancellare.
I “vedenti” che hanno oltrepassato la seconda soglia, il mondo come inganno ad uso dei potenti, non sono più neanche cittadini, ma esseri apolidi, semplici abitanti umani del pianeta Terra. Per loro la parola “territorio” non è scindibile da “terrore”, è questo che gli ha insegnato la storia degli imperialismi, e delle religioni: per questo sono sempre vicini a chi la terra natale è sottratta o resa un lager. Le frontiere sono sempre alzate o abbattute per interessi di pochi, e portano solo macerie e morte tra tutti gli altri. Dire semplicemente terra, terra comune, ci porta sulla via, sulla via di un superamento dalle continue crisi in corso.
Ascolto invece che conquista, condivisione invece di divisione. Rinunciare ad imporre sempre e ovunque, agli altri, o alla terra, la nostra volontà, la logica dello sfruttamento. Per i “vedenti” è evidente che non ci si può preoccupare dell’emergenza climatica e della biodiversità quando la biodiversità umana è minacciata e di fatto cancellata e le emergenze umanitarie sono all’ordine del giorno.
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La terza soglia, la terza necessaria “fine del mondo”, riguarda ciò che viene convenzionalmente definito “umano”. Un recinto in cui convivono amore e cura e insieme guerra, distruzione e violenza gratuita. Un recinto, bisogna ricordarlo, creato da una società maschilista e patriarcale. Se guardiamo la realtà, il nostro amore e cura non appartengono in esclusiva al genere umano, ma sono un’attitudine presente nel mondo animale ed anche in quello vegetale, cosa che avevano ben presente le società matriarcali pre olimpiche, prima ovvero che arrivassero i Dei virili e guerrieri. Umano è diventato così sinonimo di corazza, armatura, e il baluardo di un confine che si ha paura di superare. Una volta che abbiamo fatto il passo oltre la frontiera della singolarità e poi quella del mondo edificato, e così imparato a scomparire riconquistando l’apertura originaria, l’uomo capisce che deve crescere in relazione a ciò che “umano” non è, ed evitare al contempo di identificare l’umano con ciò che è civile, espressione della sua civiltà.
Se una luce può aprirsi nell’incubo apocalittico che viviamo, viene dalle popolazioni considerate arretrate e non civilizzate, ma anche da chi vive nelle campagne e nei paesi, in certo modo al riparo dall’allucinazione metropolitana e mediatica, oltre che dai giovani ribelli e anticonformisti. Fatte salva la necessità di intervenire concretamente sul piano ecologico, dovremmo essere al contempo capaci di denudarci di scopi e concetti e instaurare una relazione di pura gratuità e bellezza con il mondo animale e vegetale.
Se la seconda soglia, pur disertando il mondo ci invitava ad una lotta di resistenza, la terza soglia ci parla del silenzio e della solitudine necessari per non rimanere imprigionati nel chiacchiericcio continuo dei “dormienti” asserragliati dentro i confini del mondo edificato, La marea tecnologica (dalla clava al XXI secolo) paradossalmente può essere intesa, al di là delle attuali derive post-umane, come qualcosa di specificatamente umano (secondo un’ottica positivistica), a differenza dei riti e delle creazioni artistiche che hanno invece dalla notte dei tempi oltrepassato i confini dell’umano, tenuto insieme la terra e il cielo, restando aperte al mistero primario. La bellezza che può irradiare una grotta dipinta nel Neolitico, prima che la Storia avesse inizio, non appartiene alla dimensione umana, così come un’opera di Piero o di Leonardo, di Klee o Malevic, emerse nel corso della Storia, non appartengono al mondo edificato che le ammassa nei musei, ma al trascendimento dei confini angusti in cui viene allevato l’umano cosiddetto civilizzato.
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La quarta soglia, la quarta necessaria “fine del mondo”, riguarda il confine tra i vivi e i morti (e coloro che non sono ancora nati). Confine che è andato progressivamente a fortificarsi con l’avvento del mondo moderno, ben prima della dichiarazione della “morte di Dio”.
Nell’occidente globalizzato, con il suo spensierato o apparente benessere, la morte di un umano non è diversa da quella di un animale allevato per essere poi mangiato. Non si sta intendendo solo ciò che avviene con le guerre e i conflitti in cui soldati e civili vengono mandati al macello, ma alla condizione vissuta da chi vive nell’edificato mondo occidentale che ha via via tagliato ponti e radici che lo collegavano alle culture tradizionali che ancora tenevano in relazione la terra e il cielo, l’uomo e la natura, la vita e il mistero. I morti ora crepano, schiattano, non c’è più il culto dei familiari o amici scomparsi, figuriamoci quello degli antenati. Questa patetica condizione di debolezza, prima canalizzata dalle religioni e dagli ordinamenti monarchici, non è solo edulcorata dalla crescente digitalizzazione dell’assetto sociale, dall’invasione dei social nelle vite di gran parte dei terrestri, ma credo generata proprio dalla smaterializzazione e distanziamento connesso alle tecnologie adottate. La labilità del confine tra i vivi e i morti, la percezione della compenetrazione tra dimensione umana e quella animale, vegetale e cosmica, è un qualcosa che si apprende in prossimità, fisicamente, affrontando il pericolo, non adottando “mascherina” e “distanza di sicurezza”, come recitava il tassativo refrain nei due anni in cui è stato sperimentato l’allucinogeno Covid.
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Il vero piano della lotta che siamo chiamati a portare avanti, superando le quattro soglie, ribaltando l’apocalittica paventata fine del mondo, è proprio quello che indicano le quattro frontiere qui brevemente descritte: liberarci da quel mondo che ci porta fuori rotta, un mondo che fisiologicamente è votato alla distruzione e all’annichilimento di ogni singolo essere vivente e della terra stessa. Solo così si potrà poi combatterlo e contrastarlo.
Non esistono terre o fortezze incontaminate o privilegiate. Si deve cercare d’essere apolidi anche e soprattutto rispetto alle discipline o corporazioni in cui la nostra attività per comodità ed opportunismo viene (anche da noi stessi) catalogata. Dire oggi arte, è dire nulla, visto il mercimonio, la maniera e lo Spettacolo che la divora. Così è per ogni altro campo d’attività. Oltre le frontiere, quelle create all’interno che diventano poi mondo, possiamo e dobbiamo andare ora, nudi come all’origine. E all’origine non vi è separazione di generi sessuali, etnici o sociali. Curare il corpo è guarire l’anima (o la psiche, se preferite): dove è la differenza tra medicina, arte, economia e filosofia?!
I fratelli dei desaparecidos oppressi dalla Storia e ricacciati costantemente in quel buco nero che abbiamo chiamato Fantasma della Storia, sono ora altri e diversi desaparecidos che hanno deciso di disertare il mondo edificato, di minarlo alle fondamenta, più simili a dei viandanti, ai senza dimora, che si incontrano e portano la loro testimonianza per vie ora non battute, anche se percorse dalla notte dei tempi.
Potrei chiamarli il “Piccolo popolo”, con il nome dato ad un ciclo di piccole figure che sono emerse durante le sedute quotidiane modellando tra le mani un piccolo pezzo d’argilla. Non tanto quindi come un reale “piccolo popolo” sparso per la terra (che anche sono), ma in quanto esseri aperti alla voci di dentro, alla realtà di presenze mitiche, di immagini e figure dimenticate che ritornano. Aperti come le immagini, come quelle piccole figure, ad una dimensione impersonale e atemporale.
Un “popolo” (reale, anche se arcipelago disperso) che potrebbe così assumere i nomi che ha dato alle immagini e alle figure psichiche e mitiche emerse lungo il cammino, dal silenzio e dalla solitudine e identificarsi con il mondo immaginale e filosofico a tutti comune, abbandonando il nome territoriale come il proprio. Come scrivevo all’inizio degli anni ’80 “non si tratta di penetrare la realtà, di afferrarla e descriverla, di riportare le immagini sulla terra ferma, ma di entrare nel territorio sospeso delle immagini, del sogno, della vita. Nella terra viva”.
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. Particolare dell'installazione "Il Piccolo Popolo", prima parte del Diario delle 365 Figure esposto nel 2023 al Museo Nazionale della Ceramica Duca delle 365 Figure esposto nel 2023 nel Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina a Napoli, a cura di Marta Ragozzino. Particolare dell'installazione del "Piccolo Popolo", prima parte del Diario delle 365 figure esposto nel 2023 al Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina a Napoli, a cura di Marta Ragozzino.
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FOUR THRESHOLDS TO THE END OF THE WORLD, by Andrea Fogli
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Then the frontier, the end of the world.
If we talk about the known and inhabited world – but also above all poorly constructed or lived by us – that border and that world have to do with identity, that is, that something that is fictitious, conventional, incapable of describing the nature of every living being which contains within itself, called Bios by the Greeks, even no longer being and not yet being born, a tension and an openness that exceeds the conventional limits of the daytime world, of the world built and organized by man.
Crossing the border, the end of the world, should thus be understood in the first instance as overcoming the limit of a world that is measured in height and width, a world that has become measurable, but which at the same time measures and controls us: the world of identities. Beyond all this, beyond the same horizon or arc of the Bios, another dimension opens up, the one that the ancient Orientals (and in particular the Chinese) indicated as “inside”, a perspective therefore very different from the tests of strength and extension in has been in vogue for three millennia in the West.
The problem of geographical and political borders takes second place at this point, since it depends on something that is upstream, that is, “inside” the human being who has drawn them or wants to (or must) cross them. There the borders are called thresholds or rooms.
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The first threshold, the first “end of the world”, is for everyone their own singularity, being separated, being condemned to the telescope of the eyes (and of the conscience) which from the first years to death they are the only well from which we see what surrounds us, that is, what by general convention is called the “world”. The first frontier that must be overcome is the one that imprisons us in the concept of singularity. In this enclosure the primary and permanent “end of the world” is for everyone their own death. It is this end that must be faced first and foremost, but most of us Earthlings do not want to set foot on this threshold: from the narrow telescope of singularity “it is always others who die”, even if we know that this is not the case. If then the limited monocle is deformed from egocentrism we arrive at the cynical indifference of those who (even unconsciously) care nothing about what the world will be like after their death or of those who would even prefer that the Earth disappear with them.
If we observe the “masses”, or the individuals who have become “individuals”, or the “kings of the world” (economic, political and media), we understand that it is precisely the illusions and egoic deformations just indicated that are taking place. Making and unmaking history. To destroy the planet.
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The second threshold, the second necessary “end of the world”, concerns the world, its History and its Entertainment. Their intertwining. Only if you cross this threshold can you see the multitudes of “sleepers” held in dolls by the “rulers” and also see the disappeared of all times and latitudes, forgotten or persecuted because unlike all of them “sighted”. The 20th century, the century of blatant dictatorships, did not spare Italy and South America, as we know, but our 21st century, while wars and massacres and other desaparecidos persist, has devised invisible servitude, hiding it in the radiant world of virtual connections.
Who are the new disappeared in the 21st century beyond the victims of ongoing conflicts? Where did they hide? Where did they hide them? How has enslavement and oppression changed? If you don’t cross the second threshold, after which the “king is naked”, you will never be able to understand.
In the two years in which the hallucinogen Covid has been traveling around the world, we have seen masses of people diligently following orders, and making radical life changes, surrounded by unidirectional, mandatory, global information, and subdued with the blackmail of fear – a tool used since the dawn of time by those who want to dominate, not only over bodies but also over souls. We are seeing in recent weeks how the Palestinians have disappeared from Western attention and from their media: another one-way Western global removal. If we remain imprisoned in talk shows and in what Western governments and the majority of politicians and press outlets say, we remain immersed in a permanent fiction.
If the masses of sleepers, through social media, joyfully and desperately try to “appear”, after having accepted to be consumers instead of citizens, the new desaparecidos are the “sighted” who see with free, and therefore courageous, eyes and thoughts. They are not afraid of disappearing because they are not imprisoned in the all-out defense of their own biological existence but they know, with Seneca and other ancient masters, that there are irreducible values that death – and every form of oppression – cannot erase.
The “sighted” who have crossed the second threshold, the world as a deception for the use of the powerful, are no longer even citizens, but stateless beings, simple human inhabitants of planet Earth. For them the word “territory” cannot be separated from “terror”, this is what the history of imperialism and religion has taught them: this is why they are always close to those whose native land is stolen or turned into a concentration camp. Borders are always raised or torn down for the interests of a few, and bring only rubble and death to everyone else. Simply saying land, common land, takes us on the path, on the path to overcoming the continuous ongoing crises.
Listening instead of conquering, sharing instead of dividing. To give up imposing our will, the logic of exploitation, always and everywhere, on others, or on the earth. For the “sighted” it is clear that one cannot worry about the climate emergency and biodiversity (a useful leitmotif to remove everything else) when human biodiversity is threatened and effectively erased and humanitarian emergencies are the order of the day .
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The third threshold, the third necessary “end of the world”, concerns what is conventionally defined as “human”. An enclosure in which love and care and together war, destruction and gratuitous violence coexist. An enclosure, it must be remembered, created by a sexist and patriarchal society. If we look at reality, our love and care do not belong exclusively to the human race, but are an attitude present in the animal world and also in the plant world, something that the pre-Olympic matriarchal societies had well in mind, before the virile and warriors Gods arrived. Human has thus become synonymous with armor, armor, and the bulwark of a border that one is afraid to cross. Once we have taken the step beyond the frontier of singularity and then that of the built world, and thus learned to disappear by regaining the original openness, man understands that he must grow in relation to what “human” is not, and avoid at the same time to identify the human with what is civil, an expression of his civilization.
If a light can shine in the apocalyptic nightmare we live in, it comes from populations considered backward and uncivilized, but also from those who live in the countryside and in towns, in a certain way sheltered from metropolitan and media hallucination, as well as from young rebels and nonconformists. Without prejudice to the need to intervene concretely on an ecological level, we should at the same time be capable of stripping ourselves of purposes and concepts and establishing a relationship of pure gratuitousness and beauty with the animal and plant world.
If the second threshold, despite deserting the world, invited us to a struggle of resistance, the third threshold speaks to us of the silence and solitude necessary to not remain imprisoned in the continuous chatter of the “sleepers” barricaded within the confines of the world built by the so-called humans.
The technological tide (from the primitive club to the 21st century) can paradoxically be understood, beyond the current post-human drifts, as something specifically human (as the world understands it positivistically), unlike the artistic creations which instead have night of time went beyond the boundaries of the human, held together the earth and the sky, remaining open to the primary mystery, well removed by those who think they can arrive at a truth that can only be experienced through scientific means.
The beauty that can radiate from a cave painted in the Neolithic, before history began, does not belong to the human dimension, just as a work by Piero or Leonardo, by Klee or Malevic, which emerged in the course of history, does not belong to the world built environment that masses them in museums, but to transcend the narrow confines in which the so-called civilized human is raised.
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The fourth threshold, the fourth necessary “end of the world”, concerns the boundary between the living and the dead (and those who have not yet been born). A border that progressively strengthened with the advent of the modern world, well before the declaration of the “death of God”.
In the globalized West, with its carefree or apparent well-being, the death of a human is no different from that of an animal raised to be eaten. What is meant is not only what happens with wars and conflicts in which soldiers and civilians are sent to the slaughter, but the condition experienced by those who live in the built-up Western world which has gradually cut bridges and roots that connected it to the traditional cultures that they still held a relationship between earth and sky, man and nature, life and mystery. The people now simple snuff it, there is no longer the cult of missing family members or friends, let alone that of ancestors. This pathetic condition of weakness, first channeled by religions and monarchical systems, is not only sweetened by the growing digitalisation of the social structure, by the invasion of social media in the lives of most earthlings, but I believe generated precisely by the dematerialisation and distancing connected to technologies adopted. The lability of the border between the living and the dead, the perception of the interpenetration between the human dimension and the animal, vegetal and cosmic dimension, is something that is learned in proximity, physically, facing danger, not adopting a “mask” and a “safe distance”. ”, as the peremptory refrain went in the two years in which the hallucinogen Covid was tested.
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The true plan of the struggle that we are called to carry forward, overcoming the four thresholds, overturning the feared apocalyptic end of the world, is precisely what the four frontiers briefly described here indicate: freeing ourselves from that world that takes us off course, a world which physiologically is devoted to the destruction and annihilation of every single living being and of the earth itself. Only in this way will it be possible to fight and counteract it.
There are no pristine or privileged lands or fortresses. We must try to be stateless also and above all with respect to the disciplines or corporations in which our activity is cataloged for convenience and opportunism (even by ourselves). To say art today is to say nothing, given the commercialism and the entertainment that devours it. The same goes for every other field of activity. Beyond the borders, those created internally which then become the world, we can and must go now, naked as at the origin. And originally there is no separation of sexual, ethnic or social genders. Healing the body means healing the soul (or the psyche, if you prefer): where is the difference between medicine, art, economics and philosophy?!
The brothers of the desaparecidos oppressed by History and constantly pushed back into that black hole that we have called the Ghost of History, are now other and different desaparecidos who have decided to desert the built world, to undermine its foundations, more similar to wayfarers, to the homeless , who meet and bear their testimony along paths that are now untrodden, even if they have been traveled since the dawn of time.
I could call them the “Little People”, with the name given to a cycle of small figures who emerged during the daily sessions, modeling a small piece of clay in their hands. Therefore not so much as a real “little people” scattered across the earth (which they also are), but as beings open to the voices within, to the reality of mythical presences, of forgotten images and figures that return. Open like the images, like those small figures, to an impersonal and timeless dimension.
A “people” (real, even if a dispersed archipelago) that takes on the common name that it gave to the psychic and mythical images and figures that emerged along the way, from silence and solitude; persons that identifies himself with the imaginary world, abandoning the territorial name as his own. As I wrote in the early 1980s, “it is not a question of penetrating reality, of grasping and describing it, of bringing images back to dry land, but of entering the suspended territory of images, of dreams, of life. In the living earth.”
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Particolare dell'installazione del ciclo delle 59 Anime/Desaparecidos nella personale "Il Fantasma della Storia", Museo di Porta San Paolo, Roma 2016.