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Il giorno dell’inaugurazione della mostra “Le visage humain”, per il nostro quinto Incontro lunare, Giacinto Palmarini ha letto “Le visage humain” di Artaud e Caterina Lo Bue brani dal ”Diario della polvere e dell’argilla” di A.F.
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Antonin Artaud, “Il volto umano”, 1947
Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte.
La vecchia rivendicazione rivoluzionaria di una forma che non è mai corrisposta al suo corpo, che era partita per essere altra cosa dal corpo.
È perciò assurdo rimproverare di essere accademico un pittore che si ostini ancora a riprodurre i tratti del volto umano così come sono, poiché così come sono non hanno ancora trovato la forma che indicano e designano; quei tratti dal mattino alla sera, nel mezzo di diecimila sogni, pestano come nel crogiolo di una mai stanca palpitazione passionale.
Il che significa che il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia e che sta al pittore dargliela.
Ma il che significa anche che la faccia umana così com’è la si cerca ancora con due occhi, un naso, una bocca e le due cavità auricolari che rispondono ai buchi delle orbite come le quattro aperture della tomba della morte che è prossima. Il volto umano porta infatti una specie di morte perpetua sul suo volto che sta appunto al pittore salvare rendendogli i propri tratti. Dopo mille e mille anni infatti che il volto umano parla e respira si ha ancora l’impressione che non abbia ancora cominciato a dire ciò che è e ciò che sa.
E io non conosco un solo pittore nella storia dell’arte, da Holbein a Ingres, che, questo volto d’uomo, sia giunto a farlo parlare. I ritratti di Holbein o di Ingres sono dei muri spessi, che non spiegano nulla dell’antica architettura morale che si inarca sotto gli archi di volta delle palpebre, o si incastra nel tunnel cilindrico delle due cavità murali delle orecchie. Il solo Van Gogh ha saputo ricavare da un volto umano un ritratto che sia il razzo esplosivo di un battito di cuore scoppiato. Il suo. La testa di Van Gogh col cappello floscio rende nulli e non avvenuti tutti i tentativi di pitture astratte che potranno essere fatti dopo di lui, fino alla fine dell’eternità. Poiché questo volto di macellaio avido, proiettato come per un colpo di cannone sulla più estrema superficie della tela, e che d’un colpo si vede arrestato da un occhio vuoto, e rivoltato verso il dentro, svuota a fondo tutti i segreti più speciosi del mondo astratto in cui la pittura non figurativa può cullarsi, ed è perciò che nei ritratti che ho disegnato ho evitato innanzitutto di scordare il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie o i capelli, ma ho cercato di far dire al volto che mi parlava il segreto di una vecchia storia umana che è passata come morta nelle teste di Ingres o di Holbein. Ho fatto venire talvolta, a fianco delle teste umane, degli oggetti, degli alberi o degli animali, perché non sono ancora sicuro dei limiti ai quali può arrestarsi il corpo dell’io umano.
Io ho d’altronde rotto del tutto con l’arte, lo stile o il talento in tutti i disegni che si vedranno qui. Voglio dire che guai a chi li considerasse come opere d’arte, opere di simulazione estetica della realtà. Nessuno di essi è un’opera in senso proprio. Tutti sono degli schizzi, voglio dire dei colpi di sonda o di maglio dati in tutte le direzioni, secondo il caso, la possibilità, la chance o il destino. Non ho cercato di curare in essi i miei tratti o effetti, ma di manifestare in essi delle specie di verità lineari patenti che esprimano lo stesso valore sia attraverso le parole e le frasi scritte che mediante il grafismo e la prospettiva dei tratti. È perciò che molti disegni sono un miscuglio di poesie e ritratti, di interiezioni scritte ed evocazioni plastiche di elementi, di materiali, di personaggi, di uomini o di animali. È perciò che bisogna accettare questi disegni nella barbarie e nel disordine del loro grafismo «che non si è mai preoccupato dell’arte» ma della sincerità e della spontaneità del tratto.
prefazione al catalogo della sua mostra alla Galerie Pierre di Parigi, nel 1947.
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Dal “Diario dei 59 grani di argilla” di Andrea Fogli, 2013/2014
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Chi è? Chi sono? Chi siamo?
Ogni giorno nasce nello mio studio una persona diversa. Gli altri nascono in me, ed io rinasco in tutti questi “altri”, in questi esseri sconosciuti e senza nome accorsi nel mio studio, in un sincronico atto, o patto, di reciproco soccorso.
10 giugno
Uno di loro oggi è apparso tra le mie mani, venuto fuori da un blocco di argilla mentre per la prima volta dopo anni ho provato a tirar fuori dall’informe creta un volto a grandezza naturale.
Un uomo né vecchio né giovane, con la bocca semiaperta in una smorfia di stupore e sofferenza e gli occhi spalancati davanti ai miei. In realtà la sua testa è lievemente reclinata all’indietro e il suo sguardo mi oltrepassa come se vedesse qualcosa in alto dietro di me.
13 giugno
Una testa d’uomo che mi guarda di traverso. Ha i capelli rasati e sembra stordito dai medicinali e dalle violenze, come un internato, un recluso, un Otage.
La cosa curiosa è che il suo volto muta fisionomia: se lo guardi da un lato ricorda quello di un Pierrot infelice, mentre dall’altro sembra un guerriero, un irriducibile ribelle.
23 giugno
La terra trema, ancora. alluvioni. La grotta azzurra di Lourdes e il tempio di Kedarnath in India sono stati invasi da un mare di fango. Forse è da quella liquida argilla che è apparsa oggi questa donna gialla. Se la vedi di lato sembra piangere, ma da ogni punto guarda lontano. Come la testa di Shiva che affiora dal fiume in piena, ultimo baluardo che la marea non sommerge. Indesiderato fantasma che la storia vorrebbe nascondere dentro un armadio.
Con tutti i suoi scheletri.
30 luglio
Una donna nera, con la pelle incisa, che mi ricorda i volti di antiche sculture africane. Ma ancora una volta non è la maschera o la divinità̀, come non è il volto classico o rinascimentale: è il volto nudo di un umano, spogliato dalla presunzione di stare al centro del mondo, giunto al centro del suo smarrimento o della sua ferita, e per tutto questo, pur se d’argilla o di carne, aperto e trasparente.
Un umano di fronte ad un punto estremo, come nell’attimo che precede un’esecuzione. Questo è stato fin dall’inizio: era come se indagassi il peso e la natura di queste anime davanti al momento della morte, o di ogni altro decisivo passaggio della loro vita.
25 agosto
L’Italia dai primi di luglio non ha smesso di tremare. Si sono contate anche cento micro scosse in un giorno. Un sotterraneo continuo stillicidio. Ai miei occhi è però anche un avvertimento che la terra ci vuole manifestare, invitandoci a rovesciare lanostra vita e a metterci in cammino oltre l’apparente equilibrio in cui noncuranti galleggiamo.
Oggi è apparso un volto di donna grigio-azzurro, reclinato verso il basso e con gli occhi accecati da una polvere gialla. Immobile e imperturbabile come la protagonista del film “Malincholia” di fronte all’arrivo di un pianeta che come un gigantesco asteroide disperso nello spazio sta per distruggere la Terra.
9 settembre
Ancora una testa quasi senza collo. Grigia, livida, esangue. Vagamente femminile.
Ancora la memoria di una vittima con uno sguardo simile a questo che è venuto su oggi. Nella foto sembrava vivo, anche se stordito e lontano, e ci ho messo un po’ a capire che quella testa decapitata era solo appoggiata al corpo inginocchiato, in un beffardo malefico ricongiungimento.
27 ottobre
L’altro ieri in Iran è stata impiccata Reyhaneh Jabbari per avere ucciso l’uomo che la stava violentando. Ho negli occhi un suo ritratto in cui assomiglia all’ Annunciata di Antonello, ma mentre questa con un lieve movimento del volto pronuncia il suo ineffabile “sì”, Reyhaneh ha l’ardire di girare lo sguardo e di dire “no” al sopruso di una legge disumana mascherata come editto divino. Poteva evitare la condanna, poteva mediare con la giuria islamica, ma non lo ha fatto. Come Antigone. E ́ questo sguardo che mi sono portato dentro iniziando a lavorare l’argilla, insieme con un’ altra immagine scoperta giorni fa: quella delle più antiche sculture neolitiche in cui il volto è modellato con l’argilla sopra un teschio.
Il volto di Reyhaneh apparso oggi sembra proprio modellato su un teschio, ma ne emerge vittorioso opponendosi ai paladini di una giustizia primitiva e patriarcale.
1 novembre (2014)
Tutti Santi. Bella coincidenza per la nascita dell’ultimo cinquantanovesimo grano d’argilla e per la conclusione del mio apocrifo rosario delle “anime perse”.
Come accaduto l’altro giorno con Rayhaneh,è un volto reale a ingombrare o chiarire la scena: il volto di Stefano Cucchi massacrato in caserma, riapparso ovunque sulla stampa in occasione dell’inconcludente processo giudiziario in corso.
Sogno e realtà ancora si intrecciano, così uomini e martiri, combattenti e santi.
E’ un Tutti Santi libera tutti.
I brani sono tratti dal libro di Andrea Fogli “Diario della polvere e dell’argilla”, Quodlibet 2018, con una introduzione di Giorgio Agamben
Particolare dell’installazione del “Diario dei 59 grani di argilla” al Parkview Museum di Simgapore, 2019/20